Gabriele D’Annunzio – La pioggia nel pineto
Gabriele D’Annunzio, Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, Libro III, ALCIONE, Milano, Fratelli Treves Editori, 1908.
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Claude Debussy, Rêverie
Judie Meulink, piano
Dipinto di Carlo Mattioli (1911 – 1994)
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TACI. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo vólto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
… e come ci sta bene Debussy!
Sei bravissimo!
Quanto mi beo ad ascoltarti!
Così lontano… così vicino!
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Grazie, cara Lucia. Cuore a cuore…. (faccina sorridente)
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L’ha ribloggato su Antonella Lallo.
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Tra le tue interpretazioni più belle… Mi sono commossa, grazie! Sei stato perfetto!
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Ancora un grazie, con emozione per il tuo commento!
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Complimenti di cuore. Ho una passione per la poesia danunziana e questa in particolare l’ho ascoltata recitare da diversi interpreti; credimi se ti dico che la tua è la voce che meglio si presta ai superbi versi, un’interpretazione impeccabile anche nelle pause e punteggiature. Da ascoltare e riascoltare come la pioggia che cade allegra…
non poteva chiudersi meglio la giornata. Buona notte Luigi, per quando lo sarà.
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Un grazie infinito… Daniela, sei molto gentile e con il tuo commento, come pure quelli di altre care persone, ho definitivamente allontanato i timori per il confronto con i “mostri sacri” della recitazione… Buona notte a te, cara Amica, qui ancora è primo pomeriggio, nuvoloso, giusto così… siamo in inverno ormai… Un abbraccio!
Luigi
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Questa poesia mi ha sempre fatto piangere dal primo verso
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