JORGE LUIS BORGES – LE CAUSE Jorge Luis Borges TUTTE LE OPERE a cura di Domenico Porzio, volume secondo ARNOLDO MONDADORI EDITORE 1985
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Glenn Gould plays Johann Sebastian Bach’s Partita no.6 in E minor, BWV830
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I ponenti e le generazioni. I giorni di cui nessuno fu il primo. La frescura dell’acqua nella gola di Adamo. L’ordinato Paradiso. L’occhio che sta decifrando la tenebra. L’amore dei lupi al farsi dell’alba. La parola. L’esametro. Lo specchio. La torre di Babele e la superbia. La luna che guardavano i caldei. Le sabbie innumerevoli del Gange. Chang-Tzu e la farfalla che lo sogna. Le mele d’oro delle isole. I passi dell’errante labirinto. L’infinito tessuto di Penelope. Il tempo circolare degli stoici. La moneta in bocca di chi è morto. Il peso della spada sulla bilancia. Ogni goccia d’acqua nella clessidra. Le aquile, gli sfarzi, le legioni. Cesare nel mattino di Farsaglia. L’ombra delle croci sopra la terra. L’algebra e la scacchiera del persiano. Le tracce delle lunghe migrazioni. La conquista di regni con la spada. La bussola incessante. Il mare aperto. L’eco dell’orologio nel ricordo. Il re giustiziato con la mannaia. La polvere infinita che fu eserciti. La voce dell’usignolo in Danimarca. Lo scrupoloso tratto del calligrafo. Il volto del suicida nello specchio. La carta di chi bara. L’oro avido. Le forme della nube nel deserto. Ogni arabesco del caleidoscopio. Ogni rimorso ed anche ogni lacrima. Tutte queste cose abbisognarono perché le nostre mani s’incontrassero.
L’Immaginifico è stato detto Gabriele D’Annunzio (che nel romanzo “Il fuoco” usa questo attributo a proposito di Stelio Effrena, personaggio in cui ha adombrato sé stesso).
Gabriele D’Annunzio – La pioggia nel pineto
Gabriele D’Annunzio, Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, Libro III, ALCIONE, Milano, Fratelli Treves Editori, 1908.
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Claude Debussy, Rêverie Judie Meulink, piano
Dipinto di Carlo Mattioli (1911 – 1994)
d’Annunzio – L’ONDA (Romena, 22 agosto 1902) ALCYONE
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Claude Debussy da “La Mer” Immagini di L.M.Corsanico
Gabriele D’Annunzio La sera fiesolana (Capponcina di Settignano, 17 giugno 1899)
Gabriele D’Annunzio Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, Libro III, ALCIONE Milano, Fratelli Treves Editori, 1908.
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Julius Klengel (1859 – 1933) Hymnus for 12 Cellos, Op. 57 Cello Classics Ensemble
Questa vecchia angoscia, questa angoscia che porto da secoli dentro di me, è traboccata dal vaso, in lacrime, in grandi immaginazioni in sogni tipo incubi senza terrore in grandi emozioni improvvise, senza alcun senso.
È traboccata. Quasi non so come comportarmi nella vita con questo malessere che mi riempie l’anima di pieghe! Se almeno impazzissi per davvero! Ma no: è questo essere a mezza strada, questo quasi, questo essere sul punto di…
Il ricoverato di un manicomio almeno è qualcuno. Io sono il ricoverato di un manicomio senza manicomio. Sono pazzo a freddo, sono lucido e matto, sono estraneo a tutto e uguale a tutti: sto dormendo sveglio con sogni che sono pazzia perché non sono sogni. Sono in questo stato…
Povera vecchia casa della mia infanzia perduta! Chi avrebbe detto che mi sarei tanto disperso! Che ne è del tuo bambino? È impazzito. Che ne è di colui che dormiva tranquillo sotto il tuo tetto provinciale? È impazzito. Ma chi, fra quelli che fui? È impazzito. Oggi costui è chi io sono.
Se almeno possedessi una religione! Per esempio, una per quel feticcio che c’era in casa nostra, la vecchia casa, che veniva dall’Africa. Era bruttissimo, era grottesco, ma c’era in lui la divinità di tutto quello in cui si crede. — Giove, Geova, l’Umanità — uno qualunque servirebbe, infatti che cosa è tutto se non quello che pensiamo di tutto?
Dylan Thomas La mano che firmò il trattato – Lettura di Luigi Maria Corsanico The hand that signed the paper
Dylan Thomas Poesie a cura di Ariodante Marianni Einaudi, Torino 1965 Twenty-Five Poems, published by J. M. Dent & Co., London (1936).
Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 7 in La maggiore op. 92 II movimento, Allegretto Berliner Philharmoniker, Herbert von Karajan
Disegno: Peter Grippe The Hand that Signed the Paper Felled a City 1960, Morris Gallery, New York
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La mano che firmò il trattato abbatté una città; Cinque dita sovrane tassarono il respiro, Raddoppiarono il globo dei morti e dimezzarono un paese; Quei cinque re misero a morte un re.
La mano possente conduce a una spalla sghimbescia, Il calcio rattrappisce le giunture delle dita; Una penna d’un’oca ha messo fine all’omicidio Che ha messo fine ai negoziati.
La mano che firmò il trattato produsse una febbre. E la penuria crebbe, e le locuste vennero; Grande è la mano che ha dominio sull’uomo Scarabocchiando un nome.
I cinque re contano i morti, mala piaga Incrostata non curano, la fronte non carezzano; Una mano governa la pietà come governa i cieli; Dalle mani non scorrono le lacrime.
The hand that signed the paper felled a city; Five sovereign fingers taxed the breath, Doubled the globe of dead and halved a country; These five kings did a king to death.
The mighty hand leads to a sloping shoulder, The finger joints are cramped with chalk; A goose’s quill has put an end to murder That put an end to talk.
The hand that signed the treaty bred a fever, And famine grew, and locusts came; Great is the hand that holds dominion over Man by a scribbled name.
The five kings count the dead but do not soften The crusted wound nor stroke the brow: A hand rules pity as a hand rules heaven; Hands have no tears to flow.
Wisława Szymborska – Qualche parola sull’anima LA GIOIA DI SCRIVERE Tutte le poesie (1945-2009) A CURA DI PIETRO MARCHESANI ADELPHI EDIZIONI
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Paul Hindemith: Meditation (1938) Viola – Flora Van Leeuwen Piano – Marc Van Moerkercke
Odilon Redon. Passage d’une âme, 1922
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L’anima la si ha ogni tanto. Nessuno la ha di continuo e per sempre. Giorno dopo giorno, anno dopo anno possono passare senza di lei. A volte nidifica un po’ più a lungo solo in estasi e paure dell’infanzia. A volte solo nello stupore dell’essere vecchi. Di rado ci dà una mano in occupazioni faticose, come spostare mobili, portare valigie o percorrere le strade con scarpe strette. Quando si compilano moduli e si trita la carne di regola ha il suo giorno libero. Su mille nostre conversazioni partecipa a una, e anche questo non necessariamente, poiché preferisce il silenzio. Quando il corpo comincia a dolerci e dolerci, smonta di turno alla chetichella. È schifiltosa: non le piace vederci nella folla, il nostro lottare per un vantaggio qualunque e lo strepito degli affari la disgustano. Gioia e tristezza non sono per lei due sentimenti diversi. È presente accanto a noi solo quando essi sono uniti. Possiamo contare su di lei quando non siamo sicuri di niente e curiosi di tutto. Tra gli oggetti materiali le piacciono gli orologi a pendolo e gli specchi, che lavorano con zelo anche quando nessuno guarda. Non dice da dove viene e quando sparirà di nuovo, ma aspetta chiaramente simili domande. Si direbbe che così come lei a noi, anche noi siamo necessari a lei per qualcosa.
GIUSEPPE UNGARETTI I FIUMI “L’allegria” è una raccolta di poesie pubblicata da Giuseppe Ungaretti nel 1931. Il suo titolo originario era Allegria di naufragi.
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Georg Friedrich Händel: Xerxes, Largo (Ombra mai fu)
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Cotici, il 16 agosto 1916
Mi tengo a quest’albero mutilato Abbandonato in questa dolina Che ha il languore Di un circo Prima o dopo lo spettacolo E guardo Il passaggio quieto Delle nuvole sulla luna Stamani mi sono disteso In un’urna d’acqua E come una reliquia Ho riposato L’Isonzo scorrendo Mi levigava Come un suo sasso Ho tirato su Le mie quattro ossa E me ne sono andato Come un acrobata Sull’acqua Mi sono accoccolato Vicino ai miei panni Sudici di guerra E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere Il sole Questo è l’Isonzo E qui meglio Mi sono riconosciuto Una docile fibra Dell’universo Il mio supplizio È quando Non mi credo In armonia Ma quelle occulte Mani Che m’intridono Mi regalano La rara Felicità Ho ripassato Le epoche Della mia vita Questi sono I miei fiumi
Questo è il Serchio Al quale hanno attinto Duemil’anni forse Di gente mia campagnola E mio padre e mia madre. Questo è il Nilo Che mi ha visto Nascere e crescere E ardere d’inconsapevolezza Nelle distese pianure Questa è la Senna E in quel suo torbido Mi sono rimescolato E mi sono conosciuto Questi sono i miei fiumi Contati nell’Isonzo Questa è la mia nostalgia Che in ognuno Mi traspare Ora ch’è notte Che la mia vita mi pare Una corolla Di tenebre
Bertolt Brecht – A coloro che verranno An die Nachgeborenen (Svendborger Gedichte, 1939)
A cura di Ruth Leiser e Franco Fortini Bertolt Brecht, Poesie e canzoni Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino. Prima edizione nei “Millenni”, 1959. pp. 136-138
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Zoltán Kodály, Sonata for Cello Solo in B Minor, Op.8 Pierre Fournier
Le Poesie di Svendborg (in tedesco: Svendborger Gedichte) sono una raccolta di poesie del poeta e drammaturgo tedesco Bertolt Brecht. La raccolta prende il nome dalla località di Svendborg nell’isola di Fyn, luogo di permanenza di Brecht durante il suo esilio in Danimarca, dal 1933 al 1939.
A coloro che verranno.
1. Davvero, vivo in tempi bui! La parola innocente è stolta. Una fronte distesa vuol dire insensibilità. Chi ride, la notizia atroce non l’ha saputa ancora. Quali tempi sono questi, quando discorrere d’alberi è quasi un delitto, perché su troppe stragi comporta silenzio! E l’uomo che ora traversa tranquillo la via mai più potranno raggiungerlo dunque gli amici che sono nell’affanno? E’ vero: ancora mi guadagno da vivere. Ma, credetemi, è appena un caso. Nulla di quel che fo m’autorizza a sfamarmi. Per caso mi risparmiano. (Basta che il vento giri, sono perduto). «Mangia e bevi!», mi dicono: «E sii contento di averne». Ma come posso io mangiare e bere, quando quel che mangio, a chi ha fame lo strappo, e manca a chi ha sete il mio bicchiere d’acqua? Eppure mangio e bevo. Vorrei anche essere un saggio. Nei libri antichi è scritta la saggezza: lasciar le contese del mondo e il tempo breve senza tèma trascorrere. Spogliarsi di violenza, render bene per male, non soddisfare i desideri, anzi dimenticarli, dicono, è saggezza. Tutto questo io non posso: davvero, vivo in tempi bui!
2. Nelle città venni al tempo del disordine, quando la fame regnava. Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte e mi ribellai insieme a loro. Così il tempo passò che sulla terra m’era stato dato. Il mio pane, lo mangiai tra le battaglie. Per dormire mi stesi in mezzo agli assassini. Feci all’amore senza badarci e la natura la guardai con impazienza. Così il tempo passò che sulla terra m’era stato dato. Al mio tempo, le strade si perdevano nella palude. La parola mi tradiva al carnefice. Poco era in mio potere. Ma i potenti posavano più sicuri senza di me; o lo speravo. Così il tempo passò che sulla terra m’era stato dato. Le forze erano misere. La meta era molto remota. La si poteva scorgere chiaramente, seppure anche per me quasi inattingibile. Così il tempo passò che sulla terra m’era stato dato.
3. Voi che sarete emersi dai gorghi dove fummo travolti pensate quando parlate delle nostre debolezze anche ai tempi bui cui voi siete scampati. Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe, attraverso le guerre di classe, disperati quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta. Eppure lo sappiamo: anche l’odio contro la bassezza stravolge il viso. Anche l’ira per l’ingiustizia fa roca la voce. Oh, noi che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, noi non si poté essere gentili. Ma voi, quando sarà venuta l’ora che all’uomo un aiuto sia l’uomo, pensate a noi con indulgenza.
Alberto Di Raco, è nato a Roma nel 1940 e vive a Torino. Per un XXV aprile Metàmeri, Mondadori 1978
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Opera pittorica di Edgar Caracristi
Samuel Barber String Quartet Op. 11. Adagio Dover Quartet
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Due particolari ringraziamenti: all’amico poeta Marcello Comitini, per avermi proposto la lettura del poema di Alberto Di Raco e alla disponibilità dell’artista e amico Edgar Caracristi, con alcune sue stupende opere pittoriche.
Mario Lunetta – Il Messaggero – 1978 “…E’ la voce roca, torbida e irriducibile di uno scrittore tra i più adulti della sua generazione. Ed è impossibile non udirla.” MARIO LUNETTA – METÁMERI