Scritta alla fine dell’inverno del 1944, “Alle fronde dei salici” comparve per la prima volta nel 1946, a Milano, nella raccolta “Con il piede straniero sopra il cuore“, in “Quaderni di costume” di Giancarlo Vigorelli. Poi nel febbraio del 1947 fu pubblicata da Mondadori nella raccolta “Giorno dopo giorno“.
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Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Salmo 137
ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.
Giuseppe Gioachino Belli – Er Giorno Der Giudizzio Edizione di riferimento: BELLI Sonetti A cura di Giorgio Vigolo con la collaborazione di Pietro Gibellini. I Meridiani Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1978
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Dal: Preludio e Fuga in do minore BWV 549 di J.S. Bach
Federico García Lorca “Encina” Libro de poemas (1918/1920) Leído por Luigi Maria Corsanico
Francisco Tárrega, “Lagrima” Per-Olov Kindgren, guitarra
Pintura de Claude Monet “La encina Bodmer, bosque de Fontainebleau”
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Bajo tu casta sombra, encina vieja, quiero sondar la fuente de mi vida y sacar de los fangos de mi sombra las esmeraldas líricas. Echo mis redes sobre el agua turbia y las saco vacías. ¡Más abajo del cieno tenebroso están mis pedrerías!
¡Hunde en mi pecho tus ramajes santos!, ¡oh solitaria encina, y deja en mi sub-alma tus secretos y tu pasión tranquila!
Esta tristeza juvenil se pasa, ¡ya lo sé! La alegría otra vez dejará sus guirnaldas sobre mi frente herida, aunque nunca mis redes pescarán la oculta pedrería de tristeza inconsciente que reluce al fondo de mi vida.
Pero mi gran dolor trascendental es tu dolor, encina. Es el mismo dolor de las estrellas y de la flor marchita.
Mis lágrimas resbalan a la tierra y, como tus resinas, corren sobre las aguas del gran cauce que va a la noche fría. Y nosotros también resbalaremos, yo con mis pedrerías, y tú plenas las ramas de invisibles bellotas metafísicas.
No me abandones nunca en mis pesares, esquelética amiga. Cántame con tu boca vieja y casta una canción antigua, con palabras de tierra entrelazadas en la azul melodía.
Vuelvo otra vez a echar las redes sobre la fuente de mi vida, redes hechas con hilos de esperanza, nudos de poesía, y saco piedras falsas entre un cieno de pasiones dormidas.
Con el sol del otoño toda el agua de mi fontana vibra, y noto que sacando sus raíces huye de mí la encina.
1919
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REGISTRAZIONE DEL 10 AGOSTO 2016
Federico García Lorca “Quercia” Poesie (1918-1920) Lettura di Luigi Maria Corsanico
da: Federico García Lorca Tutte le poesie e tutto il teatro A cura di Claudio Rendina e Elena Clementelli Edizioni integrali con testo spagnolo delle poesie a fronte Newton Compton editori
Sotto la tua casta ombra, vecchia quercia, voglio esplorare la fonte della mia vita e scavare dal fango della mia ombra lirici smeraldi. Getto le mie reti nelle acque torbide e le tiro fuori vuote. Nell’abisso del fango tenebroso stanno le mie gemme!
Affonda nel mio petto i tuoi santi rami, o solitaria quercia, e lascia nell’abisso della mia anima i tuoi segreti e la tua cauta passione!
Questa tristezza giovanile passa, lo so! L’allegria un’altra volta lascerà le sue ghirlande sulla mia fronte ferita, anche se mai le mie reti pescheranno la nascosta gemma d’incosciente tristezza che brilla in fondo alla mia vita.
Ma il mio grande trascendentale dolore è il tuo dolore, quercia. È lo stesso dolore delle stelle e del fiore appassito.
Le mie lacrime cadono a terra e, come le tue resine, corrono sulle acque del gran fiume che va verso la notte fredda. Ed anche noi cadremo, io con le mie gemme e tu coi rami pieni di invisibili ghiande metafisiche.
Non m’abbandonare mai coi miei dolori, scheletrica amica. Cantami con la tua bocca vecchia e casta una canzone antica, con parole di terra intrecciate all’azzurra melodia.
Getto le reti un’altra volta nella fonte della mia vita, reti fatte con fili di speranza, nodi di poesia, e raccolgo pietre false nel fango di passioni addormentate.
Col sole d’autunno tutta l’acqua della mia fontana ha un tremito, e vedo fuggire da me la quercia che non ha radici.
Federico García Lorca Poeta a New York III. STRADE E SOGNI Città insonne (Notturno di Brooklyn Bridge)
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Disegno e manoscritto originale di Federico García Lorca
Lennie Tristano Requiem (excerpt)
da: Federico García Lorca Tutte le poesie e tutto il teatro A cura di Claudio Rendina e Elena Clementelli Edizioni integrali con testo spagnolo delle poesie a fronte Newton Compton editori
Città insonne (Notturno di Brooklyn Bridge)
Nessuno dorme nel cielo. Nessuno, nessuno. Nessuno dorme. Le creature della luna profumano e girano intorno alle capanne. Verranno le iguane vive a mordere gli uomini che non sognano e quello che fugge col cuore rotto incontrerà agli angoli l’incredibile coccodrillo tranquillo sotto la dolce protesta delle stelle.
Nessuno dorme nel mondo. Nessuno, nessuno. Nessuno dorme. C’è un morto nel cimitero più lontano che da tre anni si lamenta perché ha un paesaggio secco nel ginocchio; e il bambino che hanno seppellito questa mattina piangeva tanto che si dovettero chiamare i cani perché la smettesse.
La vita non è sogno. Sveglia! Sveglia! Sveglia! Noi cadiamo per le scale per mangiare l’umida terra o saliamo al filo della neve con il coro delle dalie morte. Ma non c’è oblio né sogno: carne viva. I baci legano le bocche in un intrico di vene nuove e farà male a chi soffre il proprio dolore senza sosta e chi teme la morte se la porterà in spalla. Un giorno i cavalli vivranno nelle taverne e le formiche furiose andranno all’assalto dei cieli gialli che si rifugiano negli occhi delle vacche.
Un altro giorno vedremo la resurrezione delle farfalle disseccate e procedendo ancora in un paesaggio di spugne grigie e barche mute vedremo brillare il nostro anello e nascere rose dalla nostra lingua. Sveglia! Sveglia! Sveglia! Quelli che ancora hanno i segni di fango e acquazzone, quel ragazzo che piange perche non sa l’invenzione del ponte o quel morto che non ha più che la testa e una scarpa, bisogna portarli al muro dove iguane e serpi attendono, dove attende la dentatura dell’orso, dove attende la mano mummificata del bambino e la pelle del cammello si rizza con un violento brivido azzurro.
Nessuno dorme nel cielo. Nessuno, nessuno. Nessuno dorme. Ma se qualcuno chiude gli occhi frustatelo, figli miei, frustatelo! Sorga un panorama di occhi aperti e amare piaghe accese. Nessuno dorme nel mondo. Nessuno. Nessuno.
Già l’ho detto. Nessuno dorme. Ma se qualcuno nella notte ha un eccesso di muschio sulle tempie aprite le botole perché guardi sotto la luna le coppe false, il veleno e il teschio dei teatri.
Federico García Lorca Otra canción 1919 (Otoño) Libro de poemas
Leído por Luigi Maria Corsanico
Francisco Tárrega – Recuerdos de la Alhambra Narciso Yepes, recital realizado en 1979 en el Teatro Real de Madrid.
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¡El sueño se deshizo para siempre! En la tarde lluviosa mi corazón aprende la tragedia otoñal que los árboles llueven. Y en la dulce tristeza del paisaje que muere mis voces se quebraron. El sueño se deshizo para siempre. ¡Para siempre! ¡Dios mío! Va cayendo la nieve en el campo desierto de mi vida, y teme la ilusión, que va lejos, de helarse o de perderse. ¡Cómo me dice el agua que el sueño se deshizo para siempre! ¿El sueño es infinito? La niebla lo sostiene, y la niebla es tan sólo cansancio de la nieve. Mi ritmo va contando que el sueño se deshizo para siempre. Y en la tarde brumosa mi corazón aprende la tragedia otoñal que los árboles llueven.
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Registrazione del 30 agosto 2016
Federico García Lorca Altra canzone 1919 (Autunno) Libro de poemas
Traduzione di Francesco Scarabicchi da: Antonio Machado e Federico García Lorca “Non domandarmi nulla”, 2015 – Marcos y Marcos
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Francisco Tárrega – Recuerdos de la Alhambra Narciso Yepes
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Il sogno s’è dissolto per sempre! Nella sera piovosa il mio cuore conosce la tragedia d’autunno che cade dagli alberi. Nella dolce tristezza del paesaggio che muore le mie voci si spezzano. Il sogno s’è dissolto per sempre. Per sempre! Dio mio! Va cadendo la neve sulla campagna deserta della mia vita, e teme, l’illusione, che va lontano, di gelarsi o di perdersi. Come mi dice l’acqua che il sogno s’è dissolto per sempre! Il sogno è infinito? La nebbia lo sostiene, e la nebbia è soltanto stanchezza della neve. Il mio ritmo racconta che il sogno s’è dissolto per sempre. Nella sera di nebbia il mio cuore conosce la tragedia d’autunno che cade dagli alberi.
Ángel González, Oviedo 6-9-1925 / Madrid 12-1-2008 Voi tutti sembrate felici (Todos ustedes parecen felices…) Traduzione dall’originale e lettura di Luigi Maria Corsanico
Scriabin 6 Preludes Op.13 – No.4 in E minor
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Voi tutti sembrate felici… …e sorridete a volte quando parlate e scambiate perfino parole d’amore. Ma vi amate l’uno per l’altro, odiandovi nella moltitudine. Conservate tonnellate di nausea per ogni millimetro di gioia e sembrate – soltanto in apparenza – felici. E parlate con il fine di nascondere questa inevitabile amarezza, e quante volte non ci riuscite, come io stesso non posso occultarla per molto tempo; questa straziante, sterile, lunga, cieca devastazione che lentamente mi trascina verso l’ignoto.
Neu Musik Duett “Noise” ℗ 2022 Guido Mazzon, keyboard Marta Sacchi, keyboard Voce recitante, Luigi Maria Corsanico
SPLEEN E IDEALE
LXXI LA BOTTE DELL’ ODIO
L’Odio è la botte delle pallide Danaidi: la folle Vendetta dalle braccia rosse e forti inutilmente versa nelle sue tenebre vuote secchi colmi di sangue e lacrime di morti.
Il Demonio in segreto buca quelle tenebre, e da lì sfuggono millenni di sudori e di sforzi anche se l’Odio rigenerasse le sue vittime e per sanguinare, galvanizzasse i loro corpi.
L’Odio è un ubriaco in fondo a una taverna che sente la sete rinascergli dal vino e moltiplicarsi come l’idra di Lerna
– Ma i bevitori felici conoscono chi li doma, mentre l’Odio è votato alla penosa sorte di non crollare mai sotto la tavola.
JS. Bach, Prelude No.8 in E flat minor BWV 853. Leopold Stokowski / Czech Philharmonic Orchestra
“Raft of Lampedusa” opera dello scultore britannico Jason DeCaires Taylor. Lanzarote, isola dell’arcipelago delle Canarie, il Museo Atlántico.
“Cain” di Henri Vidal, Jardin des Tuilleries, Paris, 1896.
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Si rabbuia il cielo, lampi lividi tagliano la massa oscura delle nuvole. Sta per collassare l’universo? Sul tronco liscio della croce, una formica sale frettolosa sino ai tuoi piedi trova un seme rosso di melograno lo stringe tra le mandibole, scende tra le pietre lo mette in salvo nella tana. A ogni tuo respiro i lamenti salgono all’infinita era del padre. Chi li accoglie? Pendi dall’alto, il capo cinto dalla corona. Sei il re che implora e accoglie a braccia spalancate. Chi? Un passero impaurito attraversa il cielo si rifugia sui rami esili d’un arbusto in fiore. Chini gli occhi su tua madre. Ti ricorda il giorno delle nozze, la sua preghiera esaudita, il vino migliore offerto per ultimo. Intorno a lei la rosa brulicante degli spettatori che assistono al tuo patire. Alcuni impauriti dalla folgore che squarcia il sipario insanguinato alle tue spalle, altri mordono singhiozzando i fazzoletti, altri piangono sé stessi intenti a spartirsi le tue spoglie.
Il tuo ultimo respiro è un rantolo. O un grido ai futuri secoli che traspaiono nello sconquasso delle nuvole?
Staccato dalla croce la tua spoglia fredda scende nel baratro degli inferi. Un popolo innumerevole di ombre si muove in volo come uno stormo di pipistrelli. Arsi dal desiderio muovono le ali. Non sanno, non ti conoscono. Si ritraggono.
Dall’alto giunge lo spirito, varca l’arco gelido della morte, riprende coscienza nella quiete del tuo cadavere. Nell’ oscurità brilla il lume della resurrezione. Ti viene incontro il popolo di ombre cieche. Un uomo e una donna si fanno avanti tenendosi per mano. Lui bacia le labbra di lei rosse come una mela. Sono distanti dall’amarsi. Ma è comunque amore. Dicono tutti con lo sguardo noi crediamo. E li raccogli nel cavo delle mani, li adagi nel tepore della luce.
E noi, che attendiamo come fossimo ombre già condannate agli inferi, ti vediamo nei bagliori dell’alba abbassare le braccia lungo i fianchi, mostrare le mani ferite. Già sai che ogni tua resurrezione sarà precipitata nell’abisso degli errori, dai sì e no del pensiero troppo umano dalle crudeltà che si perpetuano senza tempo. Prima che tu svanisca nell’alto dei cieli, circondato dagli angeli anche quelli che ci custodivano, abbiamo una domanda che attraversa la fede e la morte. Consolerai il nostro inguaribile dolore? Ci strapperai dal nido delle ombre in cui la nostra vita come il passero impaurito dagli artigli della disperazione si è rifugiata nel cespuglio fiorito dei sogni? Sei il trionfante o vittima dell’Essere Uomo?
11 febbraio 1946 – Primo Levi da “Ad ora incerta”, Garzanti Editore, 1984 Lettura di Luigi Maria Corsanico Memory, Adrian Konarski
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Cercavo te nelle stelle
Quando le interrogavo bambino.
Ho chiesto di te alle montagne,
Ma non mi diedero che poche volte
Solitudine e breve pace.
Perché mancavi, nelle lunghe sere
Meditai la bestemmia insensata
Che il mondo era uno sbaglio di Dio,
Io uno sbaglio nel mondo.
E quando, davanti alla morte,
Ho gridato di no da ogni fibra,
Che non avevo ancora finito,
Che troppo ancora dovevo fare,
Era perché mi stavi davanti,
Tu con me accanto, come oggi avviene,
Un uomo una donna sotto il sole.
Sono tornato perché c’eri tu.
Mario Luzi da: Poesie ultime e ritrovate. Garzanti i grandi libri / POESIA SOTTO SPECIE UMANA (1999)
Promenade humaine I Osso
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Paul Hindemith Trauermusik per Viola e archi (1936) Yuri Bashmet, viola Solisti di Mosca
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Che fai, terra, ti celi o ti riveli ti neghi o ti concedi all’uomo ai suoi pensieri ai suoi imprendibili desideri? oppure li ignori e anche lui ti ignora, e non lo crede, vedi, ti chiede i suoi piaceri, ti strappa i tuoi tesori, è vero, però ti disconosce e non gli pari né amica né consorte, solo avara depositaria dei suoi averi, solo arcigna e vorace custode dei suoi ieri. Ed ecco li rivuole lui i suoi cimeli, le sue memorie: poi di nuovo ti usa e ti affida le sue ceneri, sempre trascura i tuoi misteri. E io osso sepolto e dissepolto, di chi sono, dell’uomo o tuo, terra, che umile e ingorda m’hai pulito e custodito, o dell’unico umoroso pathos – Si scisse ad opera del male questo e della pena e anela forse alla ricongiunzione piena. Venga, oh venga presto irreversibilmente.