Federico García Lorca Ci sono anime che hanno…(8 febbraio 1920) da “Poesie (Libro de poemas)” Newton Compton, Roma, 1970 Traduzione di Claudio Rendina
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Manuel de Falla Canción – Benita Meshulam, piano
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Ci sono anime che hanno
stelle azzurre,
mattini sfioriti
tra foglie del tempo,
casti cantucci
che conservano un antico
sussurro di nostalgia
e di sogni.
Altre anime hanno
spettri dolenti
di passioni. Frutta
con vermi. Echi
di una voce arsa
che viene di lontano
come una corrente
d’ombre. Ricordi
vuoti di pianto
e briciole di baci.
La mia anima è matura
da gran tempo,
e si dissolve
confusa di mistero.
Pietre giovanili
consunte di sogno
cadono sulle acque
dei miei pensieri.
Ogni pietra dice:
«Dio è molto lontano!».
Mario Luzi – La notte, i suoi strani affollamenti da: LUZI POESIE ULTIME E RITROVATE a cura di Stefano Verdino Garzanti, 2014
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Zoltán Kodály Sonata for Cello Solo in B Minor, Op.8 Pierre Fournier
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La notte, i suoi strani affollamenti.
Figure umane
flebili, avvilite
dalla disattenzione degli umani,
mortificate dalla trascuranza,
sfiorate appena, appena rasentate
dal calore della vita quotidiana –
l’insonnia nel suo vagabondare
a sorpresa le ritrova,
l’incontro le rimuove
dai loro dormitori, svegliate
escono fuori dai ripari
d’opacità e timore
nel lucore d’una oscura reminiscenza…
quando? ci fu disordine, c’è errore.
Passo passo
deve il cammino
essere fatto ancora
a ritroso: con premura,
con umiltà di cuore
è da raccogliere
la minima, l’infima dovizia
che il tempo aveva in sé,
non profferita
e nemmeno concupita –
ma voleva
quell’èbulo
esser preso
da una mano più attenta ed amorevole
della nostra cupidigia…
C’era forse da vivere più vita
nel vivaio, da suggere
più linfa dall’ispida sterpaglia.
Cresce, frana
su di sé
la storia umana,
ne ingoia la polvere o il sentore
una memoria oscura,
fa sì
che non sia stata vana.
Ma rimorde la memoria,
la sua piaga non si sana:
la tortura di notte quello spregio
fatto alla vita, quell’offesa
all’amore non vissuti,
eppure non perduti,
presenti anch’essi dove tutto è stato,
tutto è parificato.
Dmitri Shostakovich Gadfly Suite Op. 97a – Romance
Fotografia: Julia Margaret Cameron The Angel at the Tomb Portrait of Mary Ann Hillier
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Non vagheremo più, non schiacceremo più tra gli arbusti le bietole rosse, non cercheremo più le tracce… Col fascio dei tuoi capelli d’avena per sempre sei svanita dai miei sogni. Tenera, bella, e col vermiglio colore delle bacche sulla pelle, eri simile a un crepuscolo rosa. E come neve, candida e abbagliante. Sono appassiti i chicchi dei tuoi occhi, il tuo nome s’è dissolto come una musica, ma è rimasto tra le pieghe gualcite dello scialle l’aroma di miele delle mani innocenti. Nell’ora silenziosa, quando l’alba sul tetto come un gatto con la zampa si lava la bocca, odo dolcemente parlare di te le canne acquatiche che conversano col vento. Ah mi sussurri pure la sera blu che tu eri una canzone e un sogno. Chi inventò la tua flessibile figura ha toccato con le mani un luminoso mistero. Non vagheremo più, non schiacceremo più fra gli arbusti le bietole rosse, non cercheremo più le tracce… Col fascio dei tuoi capelli d’avena per sempre sei svanita dai miei sogni.
Sergej Aleksandrovič Esenin (Traduzione di Franco Matacotta) dalla rivista “Poesia”, Anno XVIII, Dicembre 2005, N.200, Crocetti Editore
Finite ciò che ho cominciato di questo lungo giorno che svanisce. Date l’ultima gamba al tavolo aggiungete sulla tovaglia stesa piatti bicchieri una bottiglia rossa di vino dal profumo amaro. Scioglietemi le mani e i piedi, liberate le braccia che il destino ha incrociato dietro la mia schiena. Mettetelo a sedere questo mio corpo avvolto nel sudario del tramonto Poggiate di fianco ai piatti il palmo delle mani rivolte verso il basso a terra i piedi fermi nell’attesa del commensale sconosciuto. Porterà il sale, la farina gialla grappoli d’uva appena vendemmiata. Avrà il costato aperto e le ginocchia sanguinanti. Sarà l’istante in cui con dita scarne m’indicherà la strada già percorsa. E le mani trafitte riuniranno all’infinito il non finito dono della vita.
Pablo Neruda – Poema 14 “Juegas todos los días con la luz del universo“ de “Veinte poemas de amor y una canción desesperada” Leído por Luigi Maria Corsanico Obras de Odilon Redon Heitor Villa-Lobos – Melodia Sentimental Bráulio Bosi, guitarra
Juegas todos los días con la luz del universo. Sutil visitadora, llegas en la flor y en el agua. Eres más que esta blanca cabecita que aprieto como un racimo entre mis manos cada día. A nadie te pareces desde que yo te amo. Déjame tenderte entre guirnaldas amarillas. Quién escribe tu nombre con letras de humo entre las estrellas del sur? Ah déjame recordarte como eras entonces cuando aún no existías. De pronto el viento aúlla y golpea mi ventana cerrada. El cielo es una red cuajada de peces sombríos. Aquí vienen a dar todos los vientos, todos. Se desviste la lluvia. Pasan huyendo los pájaros. El viento. El viento. Yo solo puedo luchar contra la fuerza de los hombres. El temporal arremolina hojas oscuras y suelta todas las barcas que anoche amarraron al cielo. Tú estás aquí. Ah tú no huyes Tú me responderás hasta el último grito. Ovíllate a mi lado como si tuvieras miedo. Sin embargo alguna vez corrió una sombra extraña por tus ojos. Ahora, ahora también, pequeña, me traes madreselvas, y tienes hasta los senos perfumados. Mientras el viento triste galopa matando mariposas yo te amo, y mi alegría muerde tu boca de ciruela. Cuanto te habrá dolido acostumbrarte a mí, a mi alma sola y salvaje, a mi nombre que todos ahuyentan. Hemos visto arder tantas veces el lucero besándonos los ojos y sobre nuestras cabezas destorcerse los crepúsculos en abanicos girantes. Mis palabras llovieron sobre ti acariciándote. Amé desde hace tiempo tu cuerpo de nácar soleado. Hasta te creo dueña del universo. Te traeré de las montañas flores alegres, copihues, avellanas oscuras, y cestas silvestres de besos. Quiero hacer contigo lo que la primavera hace con los cerezos.
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PABLO NERUDA, Giochi ogni giorno con la luce dell’universo
(Poema XIV in: Venti poesie d’Amore e una canzone disperata), 1924.
Giochi ogni giorno con la luce dell’universo.
Sottile visitatrice, giungi nel fiore e nell’acqua.
Sei più di questa bianca testina che stringo
come un grappolo tra le mie mani ogni giorno.
A nessuno rassomigli da che ti amo.
Lasciami stenderti tra le ghirlande gialle.
chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud?
Ah lascia che ricordi come eri allora, quando ancora non esistevi.
Improvvisamente il vento ulula e sbatte la mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete colma di pesci cupi.
Qui vengono a finire i venti, tutti.
La pioggia si denuda.
Passano fuggendo gli uccelli.
Il vento. Il vento.
Io posso lottare solamente contro la forza degli uomini.
Il temporale solleva in turbine foglie oscure
e scioglie tutte le barche che iersera s’ancorarono al cielo.
Tu sei qui. Ah tu non fuggi.
Tu mi risponderai fino all’ulitmo grido.
Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura.
Tuttavia qualche volta corse un’ombra strana nei tuoi occhi.
Ora, anche ora, piccola mi rechi caprifogli,
ed hai persino i seni profumati.
Mentre il vento triste galoppa uccidendo farfalle
io ti amo, e la mia gioia morde la tua bocca di susina.
Quanto ti sarà costato abituarti a me,
alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti allontanano.
Abbiamo visto ardere tante volte l’astro baciandoci gli occhi
e sulle nostre teste ergersi i crepuscoli in ventagli giranti.
Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti.
Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata.
Ti credo persino padrona dell’universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri, copihues,
nocciole oscure, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi.
Federico García Lorca “Diván del Tamarit”, Buenos Aires, Losada, 1940 VII. Gacela del recuerdo de amor Leído por Luigi Maria Corsanico Domenico Scarlatti Sonata L.426 (K32) Nicola Montella, guitarra
Gacela del recuerdo de amor
No te lleves tu recuerdo.
Déjalo solo en mi pecho,
temblor de blanco cerezo
en el martirio de enero.
Me separa de los muertos
un muro de malos sueños.
Doy pena de lirio fresco
para un corazón de yeso.
Toda la noche, en el huerto
mis ojos, como dos perros.
Toda la noche, comiendo
los membrillos de veneno.
Algunas veces el viento
es un tulipán de miedo,
es un tulipán enfermo
la madrugada de invierno.
Un muro de malos sueños
me separa de los muertos.
La hierba cubre en silencio
el valle gris de tu cuerpo.
Por el arco del encuentro
la cicuta está creciendo.
Federico García Lorca Gazzella del ricordo d’amore (Traduzione di Claudio Rendina) da “Divano del Tamarit”, 1927/1934, in “Federico García Lorca, Tutte le poesie”, Newton Compton, Roma, 1993
VII.
Non portare via il ricordo di te.
Lascialo solo nel mio cuore,
tremito di ciliegio bianco
nel martirio di gennaio.
Mi separa dai morti
un muro di sogni brutti.
Sento pena di fresco giglio
per un cuore di gesso.
Tutta la notte, nell’orto
i miei occhi, come due cani.
Tutta la notte, mangiando
le cotogne di veleno.
Il vento a volte
è un tulipano di paura,
è un tulipano malato
l’alba d’inverno.
Un muro di sogni brutti
mi separa dai morti.
L’erba copre in silenzio
la grigia valle del tuo corpo.
Sull’arco dell’incontro
cresce la cicuta.
Ma lascia il ricordo di te,
lascialo solo nel mio cuore.
Jorge Luis Borges – Las cosas “Elogio de la sombra”, Emecé Editores, Buenos Aires, 1969 Leído por Luigi Maria Corsanico Astor Piazzolla – Vuelvo al Sur (solo de bandoneón) Pablo Picasso, Natura muerta – 1918
El bastón, las monedas, el llavero, la dócil cerradura, las tardías notas que no leerán los pocos días que me quedan, los naipes y el tablero, un libro y en sus páginas la ajada violeta, monumento de una tarde sin duda inolvidable y ya olvidada, el rojo espejo occidental en que arde una ilusoria aurora. ¡Cuántas cosas, limas, umbrales, atlas, copas, clavos, nos sirven como tácitos esclavos, ciegas y extrañamente sigilosas! Durarán más allá de nuestro olvido; no sabrán nunca que nos hemos ido.
Jorge Luis Borges – Le cose da “Elogio dell’ombra”, Einaudi, Torino, 1971 (Traduzione di Francesco Tentori Montalto)
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e la scacchiera,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno piú in là del nostro oblio;
non sapranno mai che ce ne siamo andati.
tratto da “Le ragioni della collera”, Edizioni Fahrenheit 451, 1995, Roma. Traduzione di Gianni Toti
Lettura di Luigi Maria Corsanico
Django Reinhardt & Stephane Grappelli, Nuages
Capucine,Café de la paix/1952 Foto de Georges Dambier
E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il “tutto completo” delle sotterranee,
nei libri prestati e nell’arrivederci a domani.
Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
nè ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all’angolo della strada mi fermerò,
a quell’angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
nè qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
nè la fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.
originale da: “Salvo el crepúsculo”, Buenos Aires, Ed. Alfaguara, 1984